L’Identità Collettiva nelle Culture Africane e le Implicazioni per l’Orientamento e l’Educazione

Nel lavoro con persone di origine africana, educatori, orientatori e psicologi spesso riscontrano un approccio particolare alla narrazione di sé: quando viene chiesto loro di parlare della propria storia personale, la risposta tende a focalizzarsi sul gruppo familiare o sulla comunità piuttosto che sull’individuo. Questo fenomeno ha radici culturali profonde e può avere un impatto significativo sulla pratica dell’orientamento e dell’educazione interculturale.

Perché molte persone africane parlano del gruppo invece che di sé stesse?

L’Identità Collettiva e il Concetto di Ubuntu

Nelle società occidentali, l’individualismo è un valore dominante: l’identità personale si costruisce attraverso il percorso individuale, le esperienze personali e le ambizioni personali. Al contrario, in molte culture africane, l’identità è strettamente legata alla comunità di appartenenza.

Il concetto di Ubuntu, diffuso in molte società dell’Africa subsahariana, si può riassumere nella frase: “Io sono perché noi siamo”. L’individuo esiste e trova il proprio senso solo in relazione agli altri, e questo si riflette nel modo in cui le persone parlano di sé.

Quando viene posta la domanda “Chi sei?”, la risposta più naturale per una persona di cultura collettivista non riguarda le proprie caratteristiche individuali, ma il ruolo che svolge all’interno della famiglia o della comunità.

La Struttura Sociale e il Ruolo della Famiglia Allargata

In molte culture africane, la famiglia non si limita al nucleo ristretto di genitori e figli, ma comprende una rete più ampia di parenti, come zii, cugini, nonni e membri del villaggio. Le decisioni, i successi e le difficoltà non sono mai solo individuali, ma collettivi.

Questa forte interdipendenza si riflette anche nel linguaggio: parlare di sé stessi significa inevitabilmente parlare del proprio gruppo.

Narrazione Orale e Trasmissione Culturale

L’identità in molte culture africane viene costruita attraverso una narrazione collettiva, tramandata di generazione in generazione. Raccontare la propria storia senza collegarla al gruppo familiare può sembrare estraneo o persino egoistico.

Ad esempio, è comune che una persona si identifichi attraverso il nome di un avo defunto e venga chiamata con il grado di parentela (come nonno o mami), indicando che le caratteristiche di quell’antenato si incarnano in lui. Questo aspetto influenza il modo in cui un individuo percepisce sé stesso e il proprio ruolo nella società.

L’Assenza di un Concetto Individualista Forte

A differenza della visione occidentale che enfatizza l’autorealizzazione e la crescita individuale, nelle culture collettiviste l’identità è determinata principalmente dalle relazioni sociali. Questo è evidente anche nei nomi propri: in molte culture africane, il nome di una persona non è solo un segno distintivo, ma racconta la storia della famiglia, del clan o del contesto in cui è nata.

Implicazioni per l’Orientamento e il Lavoro Educativo

Chi lavora nell’orientamento, nella consulenza o nell’educazione interculturale deve tenere conto di queste differenze culturali e adattare il proprio approccio per facilitare un dialogo più efficace.

Adattare le Domande per Favorire l’Espressione Personale

Dato che l’identità è vissuta in modo collettivo, domande come “Parlami di te” possono risultare poco efficaci. È utile riformulare le domande per allinearsi a questo approccio culturale:

  • Invece di: “Puoi parlarmi di te?”
    Prova con: “Qual è il tuo ruolo all’interno della tua famiglia?”
  • Invece di: “Quali sono le tue qualità?”
    Prova con: “Cosa dicono di te i tuoi parenti o amici più stretti?”
  • Invece di: “Quali sono i tuoi obiettivi personali?”
    Prova con: “Come pensi di poter contribuire al benessere della tua comunità o della tua famiglia?”

Accettare che l’Identità Individuale Emerga Attraverso il Gruppo

Forzare una persona ad adottare una narrazione più individualista potrebbe risultare frustrante o innaturale. È più efficace ascoltare come l’individuo si descrive all’interno della comunità e, solo in un secondo momento, aiutarlo a esplorare i suoi desideri personali.

Integrare il Concetto di Ubuntu nel Lavoro Educativo e di Orientamento

Valorizzare l’importanza delle relazioni e del gruppo può migliorare la comunicazione e la comprensione reciproca. Ad esempio, nei percorsi di bilancio di competenze, si può partire dall’analisi del ruolo che la persona ricopre all’interno della famiglia o della comunità per poi aiutare l’individuo a identificare le proprie aspirazioni e risorse personali.

L’Evoluzione dell’Identità tra le Nuove Generazioni di Migranti

Un aspetto interessante è che, con il tempo, anche le persone provenienti da culture collettiviste sviluppano una maggiore individualità. Questo è particolarmente evidente tra i discendenti di migranti, che crescono in società più individualiste.

In molti casi, il passaggio da un’identità collettiva a una più individualista avviene in modo brusco e polarizzato, portando inizialmente a forme di egoismo e a un distacco netto dalla propria comunità d’origine. Questo fenomeno può essere paragonato a una fase adolescenziale di separazione e individuazione.

Conclusioni

Comprendere la differenza tra identità individuale e collettiva è fondamentale per chi lavora con persone di cultura africana, specialmente nell’ambito dell’orientamento, della formazione e dell’educazione.

Adottare un approccio flessibile, che valorizzi la narrazione collettiva ma offra anche spazi di riflessione individuale, permette di creare un ambiente più inclusivo e rispettoso delle diversità culturali.

L’obiettivo non è imporre un modello occidentale di auto-rappresentazione, ma facilitare un dialogo che permetta all’individuo di esprimersi nel modo più autentico possibile.

Ha collaborato Cristina Tosoni.